No al risarcimento del danno da perdita parentale per i genitori di un neonato morto, sia per cause naturali che per colpa medica, a sole 29 ore dalla nascita. Ad impedirlo, la mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo che avrebbe loro consentito di incassare il ristoro come eredi del bebè. Riconosciuto invece il danno soggettivo per i genitori, ma per una cifra prossima ai valori minimi previsti nelle tabelle del Tribunale di Milano.
Lo ha stabilito la Corte d’appello di Ancona con la sentenza n. 101 depositata il 24 gennaio 2019, confermando un orientamento ormai pacifico della Cassazione.
Il caso
I genitori di un neonato, deceduto a poche ore dalla nascita, chiamavano in giudizio l’ospedale ed i medici per accertare eventuali responsabilità degli stessi.
La CTU medico legale espletata nel corso del giudizio di primo grado aveva accertato che la morte del piccolo, avvenuta circa 29 ore dopo il parto, era stata causata, oltre che da eventi naturali, anche dalla inadeguata condotta tenuta dai sanitari dell’Ospedale, tra le 18/19 ore dopo la nascita. Il neonato era, infatti, deceduto per una insufficienza respiratoria che i medici dell’ospedale avevano cercato di alleviare con antibiotici ed una cannula, peraltro mal posizionata, anziché disporre l’immediato trasferimento presso una struttura munita di strumenti tali da ridurre il rischio mortale del 90 per cento.
Il Tribunaleaveva riconosciuto a ciascuno dei genitori il risarcimento del danno da sofferenza soggettiva iure proprioche, in base alle circostanze del caso concreto, aveva liquidato in complessivi euro 209.999 in favore della madre ed euro 193.530 al padre, prendendo a parametro di riferimento le tabelle milanesi del 2011.
Allo stesso tempo, però, aveva escluso il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale in ragione della brevità della vita del piccolo, della mancanza obiettiva del tempo necessario per la consolidazione del rapporto effettivo.
I genitori impugnavano il provvedimento lamentando che il Tribunale aveva trascurato “che per ben nove mesi il piccolo è stato nel grembo della madre e nella mente del padre e che non va trascurato l’affetto che nasce non appena si ha notizia della gravidanza”.
Inoltre, l’importo liquidato a titolo di risarcimento dl danno soggettivo era comunque prossimo ai valori minimi della forbice fissata dalle tabelle milanesi.
La decisione della Corte d’Appello
La Corte d’Appello respinge il ricorso dei genitori, confermando sia la tipologia che l’entità del risarcimento loro spettante.
Sulla quantificazione del risarcimentoavevano, infatti, influito precisi indici orientativi: intensità del legame affettivo vittima-superstite (lieve per mancanza oggettiva del tempo necessario a consolidarlo), età della vittima (poche ore), età dei superstiti (genitori giovani), convivenza con la vittima (mai iniziata) e composizione del nucleo familiare (mancanza, all’epoca, di altri figli che avessero sofferto per la morte del fratellino).
Inoltre, non è possibile ottenere il risarcimento da perdita parentale(danno iure hereditatis) – richiesto dai genitori in veste di eredi – quando la morte sia immediatao segua entro un brevissimo lasso di tempo le lesioni, per l’assenza di un soggetto legittimato a far valere il credito risarcitorio.
Il principio non è nuovo, ma è stato espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione (n. 15350/2015) laddove hanno affermato che “nel caso di morte immediata o che segua entro un brevissimo lasso di tempo alle lesioni, non può essere invocato un diritto al risarcimento del danno iure hereditatis, in mancanza di un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio: in tali situazioni la irrisarcibilità deriva non dalla natura personalissima del diritto leso, ma dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo”.
Ecco perché i giudici di Ancona – pur accertando la responsabilità medica per il decesso e riconoscendo ai genitori il risarcimento del danno soggettivo (190mila euro alla madre e 175mila euro al padre) – hanno invece negato il ristoro da morte del congiunto. In altre parole, lo «spazio di vita brevissimo» del figlio non era tale da fondare una pretesa risarcitoria in capo alla vittima trasmissibile ai genitori-eredi.