Omicidio colposo per il medico che prescrive un farmaco con principio attivo altamente tossico, senza effettuare esami sulla paziente, successivamente deceduta.

Lo ha chiarito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 8086 del 25 febbraio 2019.

 

Il caso

Una donna affetta da obesità si era recata da un medico endocrinologo e diabetologo per dimagrire. Il medico prescriveva alla donna, insieme ad altri medicinali ad effetto diuretico e lassativo, il farmaco fendimetrazina, nonostante conoscesse i rischi che l’uso di tale principio attivo poteva determinare (aumento della pressione arteriosa, oltreché effetti dopanti e tossici).

La paziente, dopo aver iniziato la cura, decedeva a causa di una complicazione arteriosa ed un peggioramento delle condizioni cardiache.

Il medico veniva rinviato a giudizio per il reato di omicidio colposo e condannato sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello. In particolare, i giudici del merito avevano ritenuto che il decesso fosse imputabile al diabetologo, essendo l’evento non solo evitabile ma addirittura prevedibile. Prevedibile perché il professionista aveva omesso di eseguire le analisi più comuni, quali ad esempio l’esame del sangue e la misurazione della pressione arteriosa.

Il medico proponeva allora ricorso per Cassazione, sostenendo di aver adoperato la dovuta diligenza, prescrivendo alla donna una dieta ed esercizio fisico al fine di perdere peso. Aveva, inoltre, fatto presente alla donna come l’obesità potesse causare malattie molto gravi quali cardiopatie ischemiche, tumori e ipertensioni. La difesa precisava, inoltre, che era la stessa perizia ad affermare che la donna non fosse affatto un soggetto in buona salute e che la prospettiva della morte non era per nulla estranea al suo orizzonte temporale nel medio periodo. Veniva evidenziato, altresì, come per la fendimetrazina non ci fosse un divieto assoluto di somministrazione.

 

La decisione della Cassazione

I Giudici della Cassazione, con la sentenza n. 8086/19, hanno confermato la condanna a carico del medico, rilevando anzitutto come per il farmaco in questione fosse vietata la somministrazione per più di tre mesi (condizione che nel caso di specie non era stata rispettata).

Inoltre, al momento del controllo mensile della paziente, il medico non rilevava la pressione arteriosa della stessa, non prescriveva esami del sangue o esami strumentali necessari a verificare l’eventuale esistenza di fattori che sconsigliavano il piano terapeutico somministrato.

In sostanza, si era trattato di una serie di comportamenti omissivi da parte del diabetologo, così gravi da dover decretare la sua piena responsabilità penale.