Sentenza 2014 -“Responsabilità medica”
Cassazione civile , sez. III, sentenza 03.07.2014 n° 15239
Un paziente conveniva in giudizio sia il medico che la struttura sanitaria, per un intervento al cranio, eseguito nel 1985, a causa del quale era divenuto completamente cieco, sostenendo che il medico avesse eseguito un intervento più invasivo, pericoloso e non necessario di quello concordato.
La Suprema Corte si è soffermata sulla possibile ravvisabilità in capo al sanitario del reato di lesioni volontarie.
Alla luce della precedente e copiosa produzione giurisprudenziale, la Suprema Corte non ha ravvisato, nel caso di specie, un animus nocendi in capo al chirurgo, che ha operato esclusivamente con finalità terapeutica, rientrando quindi il suo operato nei cc.dd. atti medici.
Ha osservato infatti la Corte che l’unica ipotesi di reato che si poteva ipotizzare era quello di lesioni colpose, la cui prescrizione era però trascorsa ormai da tempo.
In conclusione, la Corte di Cassazione enunciava il seguente principio di diritto: “In tema di responsabilità civile da trattamento sanitario ed ai fini dell’individuazione del termine prescrizionale per l’esercizio dell’azione risarcitoria, non è ipotizzabile il delitto di lesioni volontarie gravi o gravissime nei confronti del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento da questo non consentito (anche se abbia esito infausto e anche se l’intervento venga effettuato in violazione delle regole dell’arte medica), se comunque sia rinvenibile nella sua condotta professionale una finalità terapeutica o comunque la terapia sia inquadrabile nella categoria degli atti medici. In questi casi, infatti, la condotta non è diretta a ledere e, se l’agente cagiona lesioni al paziente, è al più ipotizzabile il delitto di lesioni colpose se l’evento è da ricondurre alla violazione di una regola cautelare”.